In Italia il governo nasce con la fiducia del Parlamento. Ogni volta poi gli deve sottoporre tutte le sue proposte e il Parlamento ha il potere di modificarle come vuole. Deve perciò tener conto delle richieste, delle pretese dei diversi gruppi parlamentari che ne hanno sempre approfittato per conservare o aumentare i numerosi privilegi esistenti.
Tutto questo è il frutto della nostra Costituzione. I padri costituenti venivano dalla dittatura fascista e volevano un Parlamento forte e un governo debole. Di fatto, in Italia non ci sono i tre poteri previsti da Montesquieu – l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario – ma solo gli ultimi due. Ultimamente il vuoto dell’esecutivo è stato riempito dal presidente della Repubblica con un governo tecnico vissuto precariamente grazie ai voti di fiducia.
Ma non si può continuare così nel mezzo di una crisi europea e di una recessione grave con milioni di disoccupati. Abbiamo bisogno di scelte chiare, di processi decisori rapidi. Abbiamo bisogno di un esecutivo che non sia in balia dei capricci del Parlamento e di un Parlamento che pensi al bene del Paese e non a interessi di parte.
Per arrivare a questo risultato è necessaria una riforma costituzionale che trasferisca a livello nazionale quanto abbiamo già fatto a livello regionale, provinciale e comunale: l’elezione diretta dell’esecutivo. A livello locale i diversi candidati competono con le loro liste, poi chi ha più voti – o direttamente o dopo il ballottaggio – va al governo. Il meccanismo funziona benissimo. Perché allora non abbiamo mai avuto il coraggio di trasferirlo a livello nazionale? Per paura che qualcuno negli anni consolidi il suo potere personale? Allora introduciamo la non rieleggibilità dopo due legislature quadriennali come negli Usa. In realtà non lo abbiamo adottato perché i parlamentari vogliono continuare a tenere il governo sotto tiro per ottenere ciò che fa loro comodo. Un comportamento destinato a crescere con gli eletti Cinque stelle che lo usano regolarmente in Sicilia. Dove, però, c’è un esecutivo forte. Il premier come il sindaco: una riforma urgentissima da fare prima di andare a nuove elezioni.