Movimenti collettivi

Nella mia vita ho studiato in modo sistematico i movimenti collettivi, elaborandone una teoria generale.

Leaders e masse

Nella storia e nella tradizione popolare i movimenti collettivi politici e religiosi , le rivolte, le rivoluzioni sono ricordati col nome di un capo seguito dalle masse. Fermandoci solo all’epoca più recente, ci vengono immediatamente in mente Napoleone, Garibaldi, Marx e Lenin, Mussolini, Hitler, Stalin, Mao Tze Tung, Fidel Castro, e poi le folle immense dei loro seguaci, le masse. È una immagine corretta, ma insufficiente per capire i meccanismi collettivi che stanno alla base della storia . Per comprenderli occorre guardare più in profondità, e domandarci cosa sono i movimenti collettivi che, ad un certo punto, ci si presentano nella forma di leaders e masse. È questo il viaggio che vi propongo di compiere con me in questo libretto. E penso che scopriremo molti cose nascoste, molti segreti, solo se avremo la pazienza di guardare con attenzione fatti e di farci le domande giuste.

Il fattore imprevedibile della storia

Per cominciare domandiamoci: cosa sono i movimenti collettivi in cui troviamo i leaders e le masse ? Ed ecco la prima risposta che vi propongo : essi costituiscono il fattore imprevedibile della storia . Appaiono all’improvviso, quando nessuno li attende. Nessuno ha previsto la rivoluzione francese, quella sovietica, nessuno il nazismo, nessuno il movimento studentesco o il femminismo, nessuno Solidarnosch, la rivoluzione di Khomeini, i Talebani, Al Queda . E lo stesso vale per tutti i movimenti del passato dalla comparsa del Cristianesimo, all’Islam alla Riforma Protestante. Rappresentano la discontinuità della storia, il momento in cui mille trasformazioni silenziose si traducono in un mutamento della coscienza, della concezione di sè, del mondo e producono un’altra formazione sociale, un altra comunità con altri fini altri valori un altro modo di agire. A questo punto possiamo dare una definizione completa: il movimento collettivo è la nascita improvvisa e imprevedibile di una nuova comunità culturale religiosa o politica. E il capo, il leader? Il capo è uno dei protagonisti di questo processo. Vedremo poi quale è il suo ruolo.

Per ora fermiamoci qui. È però strano che nessun sociologo, nessun politologo abbia definito i movimenti collettivi in questo modo. Tutti sono stati come ipnotizzati dalla violenza delle loro manifestazioni emozionali, dalle loro incredibili diversità. Così hanno rinunciato a studiare sistematicamente che cosa hanno in comune: la loro dinamica profonda il fatto di creare una nuova comunità con propri valori, regole di vita, una propria leadership e nuove istituzioni.

Il capo carismatico

Ogni movimento esprime sempre dei capi che vengono riconosciuti dagli altri come gli unici a a guidare il movimento perchè posseggono qualità straordinarie (carismi). All’inizio il capo è solo uno dei tanti, poi diventa il primus inter pares, in seguito diventa il condottiero, la guida infallibile. Egli viene ammirato, amato, spesso adorato, e tutti guardano a lui per avere guida e certezze. Nei movimenti religiosi il capo si sente ispirato da Dio, dotato di particolari grazie (carismi) mentre nei movimenti profani è vissuto come un essere dotato di capacità fuori del comune (carismi).

È stato Max Weber ad identificare il potere carismatico come una delle tre forme di potere legittimo (gli altri sono quello tradizionale e quello burocratico). Però Max Werber non ha descritto ed analizzato i movimenti collettivi, non ha visto il capo carismatico come una componente, sia pure fondamentale, del movimento stesso (Max Weber, Economia e Società, trad.Ital. Milano Comunità,1961,vol II, pg. 431 e segg). Ed è sotto la sua influenza che i sociologi hanno finito per identificare il capo carismatico con il movimento.

In realtà, sebbene capo carismatico e movimento appaiano sempre insieme, è un errore pensare che sia sempre stato il capo carismatico a mettere in moto il movimento. Quando ci sono le condizioni adatte, la tensione cresce in molti punti del sistema sociale, incominciano esplosioni isolate, i nuclei di movimento, ciascuno con un proprio leader carismatico e che poi a volte confluiscono, e a volte non confluiscono in un unico movimento con un unico capo. Nel suo studio su Al Queda Jason Burke (Jason Burke Al Queda trad ital, Milano, Feltrinelli 2004, pg 29-30) osserva “Tra le migliaia di militanti radicalizzati, induriti dalla vittoria militare in Afganistan, c’erano centinaia di gruppi e molti potenziali leader. Nel 1989 decine di uomini possedevano, come Bin Laden, esperienza, carisma, accesso ai fondi e motivazione …nel periodo 1996-2001. È sbagliato immaginare – come spesso si fa – una rete di internazionale di gruppi attivi obbedienti a bin Laden o da lui creati“. È solo dopo il successo delle Torri Gemelle che bin Laden diventa il punto di riferimento dei gruppi islamisti di tutto il mondo, che si mettono a sua disposizione.

E lo stesso si può dire di tutti gli altri grandi movimenti. C’è un pullulare di nuclei di movimento che sorgono spontaneamente, con tanti potenziali capi carismatici. Essi poichè, grazie al loro stato nascente, hanno esperienze simili, quando hanno programmi analoghi tendono a riconoscersi, a unirsi o perlomeno a collaborare. Quasi sempre comunque si coalizzano contro il comune nemico. Il capo supremo spesso emerge da questo processo di coalizione. Di solito si afferma chi ha una idea vincente o quando dimostra una superiore capacità strategica e organizzativa. Ma non poche volte c’è una vera e propria lotta per la supremazia. Certo, tutti si sentono fratelli, sono festosi, allegri, pronti a sacrificarsi in un assalto contro il comune nemico. Però alcuni sono più ambiziosi, più portati a mettersi in mostra o, semplicemente più portati al comando. Mentre altri si trovano meglio nella posizione di gregari. Queste differenze, queste disposizioni naturali sono nascoste dallo stato di entusiasmo, di febbrile attività, dalla lotta. Non si presentano perciò in forma di invidia personale, di risentimento. Si esprimono piuttosto sotto forma di scontro di personalità, come scontro fra linee politiche diverse, da cui possono nascere fratture, condanne, espulsioni a volte anche lotte sanguinose come è avvenuto nella rivoluzione francese, in quello sovietica e nei movimenti di liberazione algerini.

Vi sono infine anche dei capi carismatici che non hanno fondato il movimento, ma si sono inseriti in un movimento già in atto, dandogli la loro impronta. È il caso di S.Paolo che non era un apostolo di Gesù Cristo, eppure ha dato un apporto straordinario al cristianesimo. Un altro grande capo carismatico che non ha dato inizio ad un movimento, ma ha saputo guidare, organizzare la Chiesa utilizzando la spinta dei movimenti, è stato Gregorio VII. Anche Oliver Cromwell non è l’iniziatore del movimento puritano, ma organizza il new model army, lo conduce alla vittoria e forma e riplasma il sistema politico inglese. Lo stesso si può dire di Napoleone che non crea un suo movimento, ma trasforma in movimento il suo esercito e poi diventa il capo carismatico del popolo di Francia.

D’altra parte vi sono movimenti che non sono messi in moto da un solo capo carismatico. Per esempio il grande movimento di Cluny, ed i movimenti religioso-culturali che hanno prodotto le stupende cattedrali del medioevo cristiano. Oppure nei movimenti studenteschi americani ed europei degli anni 1960-1970, e nel femminismo. Anche nell’islamismo contemporaneo vi sono movimenti come i Fratelli Musulmani fondati e guidati da un leader, l’egiziano Al Banna. Ma vi sono anche movimenti senza un unico leader come quello studentesco della Jama’at islamiyya che, negli anni 1970-1980, prende d’assalto e conquista tutti i campus universitari egiziani e li trasforma in fortezze dell’Islam radicale.

Un ultima osservazione. Max Weber parlava di carisma allo stato nascente riferendosi al capo. Noi abbiamo parlato di stato nascente tanto per il capo come per tutti gli altri membri del gruppo e, quindi, anche di stato nascente del gruppo. Di qui un corollario importante: tutti i membri del gruppo allo stato nascente sono potenzialmente dei capi carismatici. La speciale temperie emotiva, il senso di partecipare ad un grande compito di liberazione, l’esperienza fondamentale danno, anche a quelli che appaiono solo dei gregari, un impronta speciale, un carisma che si rivela quando agiscono nel mondo esterno. Allora si comportano come dei capi carismatici, trascinano con se altra gente, creano altri gruppi, innescano altri processi di stato nascente.

Mito e realtà del capo carismatico

Ma quando un capo si è affermato,quando ha sconfitto tutti i suoi avversari e messo in modo un grandioso processo di trasformazione, quando ha preso e consolidato il suo potere, chiunque egli sia stato, qualsiasi cosa abbia fatto, viene divinizzato. È successo a Lenin, Stalin, Mao Tze Tung. Mao, nella seconda parte della sua vita ha compiuto errori catastrofici. Nella campagna dei cento fiori ha rischiato di mandare in pezzi il partito, nel grande “balzo in avanti“ in cui ha bloccato la produzione agricola per costruire ai contadini degli altoforni rudimentali ha provocato o la morte per fame di quaranta milioni di cinesi. Ne la “rivoluzione culturale” scatenata per riprendere i potere che gli sta sfuggendo ha messo in moto una vera e propria folli collettiva, prodotto la distruzione di metà del patrimonio artistico cinese, compiuto e fatto compiere ignobili nefandezze morali. Eppure ancora oggi molti lo adorano. Rampini (Federico Rampini, L’ombra di Mao, Milano, Mondadori 2006) racconta il caso del villaggio di Wugong dove la gente è stata derubata, angariata, rovinata, uccisa, torturata, saccheggiato da un apparato comunista corrotto e nepotisti, a distanza di trent’anni continua ad adorare Mao Tze tung come un santo. E a Samarcanda, dopo cinque secoli, non vene ancora venerato come un santo uno dei più spaventosi conquistatori e massacratori della storia: Timur Leng, Timur lo zoppo, che gli italiani chiamavano Tamerlano?

Guardando i movimenti collettivi nel loro complesso vediamo che molti capi carismatici non sono dotati di qualità eccelse. A volte sono degli agitatori particolarmente abili, a volte dei grandi oratori, a volte dei violenti, a volte dei temerari, a volte dei ciarlatani, a volte dei pazzi. La storia è piena di movimenti guidati da capi che annunciando il rinnovamento del mondo, hanno guidato i loro seguaci in imprese dissennate. Oppure, preso il potere, si sono trasformati rapidamente in despoti e sono stati abbandonati dai seguaci. Spesso i capi si creano una corte, si fanno un harem con le donne del movimento, comportandosi di fatto come dei capi-tribu o dei re tribali.

Anche senza arrivare a questi estremi troviamo spesso capi che non sono all’altezza della situazione. Nella Riforma protestante, mentre Lutero cerca un accordo con i principi e organizza una nuova Chiesa riformata, gli anabattisti devastano le chiese, i contadini si ribellano. Jan Mathys si impadronisce della città di Munster e mette in comune i beni e le donne. Morto lui, Giovanni da Leida concentra nelle sue mani tutti i poteri e tutte le ricchezze, istituisce la poligamia e porta il movimento alla catastrofe. In Cina, dopo la guerra dell’oppio, esplode il movimento cinese Tai Ping guidato da un convertito cristiano, Hung, che si dichiara figlio di Dio e fratello di Gesù Cristo. È un tentativo ingenuo di cinesizzazione del cristianesimo che ottiene un enorme consenso popolare e conquista metà della Cina. Ma Hung non è in condizione di gestire lo Stato cinese, non sa elaborare un accordo con gli occidentali e il suo effimero impero crolla. Pol Pot, il capo dei Khmer rossi, agisce letteralmente da pazzo: per eliminare la Cambogia da ogni contaminazione capitalistica e moderna. Manda tutta la popolazione delle città in campagna a lavorare come contadini, e queste muoiono di fame e di stenti.

Vi sono però anche dei grandi capi carismatici che, nella loro vita sono riusciti a trasformare turbe sbandate in confraternite, partiti, eserciti organizzati. O addirittura in compagini statali dando loro istituzioni e leggi. Come Mosè che guida il suo popolo per quarant’anni attraverso il deserto e gli lascia una legge che lo tiene unito per millenni. Come Maometto che, nella prima fase meccana è seguito da pochi credenti e incontra gravi difficoltà. Poi, quando si sposta a Medina, prende nelle sue mani tutti i poteri e plasma una nuova religione ed un nuovo tipo di Stato. Nel mondo cattolico capi che hanno trasformato i loro movimenti in solide e durature Istituzioni sono stati S Benedetto, S. Bernardo di Chiaravalle, S. Francesco, S. Domenico. S Ignazio da Loyola. E, in epoca moderna ricordiamo Francesco di Sales, Teresa di Calcutta, Echevarria e Don Giussani. Nel mondo protestante si sono dimostrati abili e vigorosi capi carismatici Lutero in Germania, Calvino a Ginevra, George Fox, il fondatore dei quaccheri, e J. Wesley il fondatore dei metodisti, in Inghilterra.

Le istituzioni di dominio

Il movimento ha bisogno di una guida, di un capo. Questo capo emerge dal calore bianco dell’entusiasmo dalla speranza di un rinnovamento radicale. Talvolta è lui stesso che mette in moto il processo, di solito si fa strada nel fuoco delle agitazioni. All’inizio comunque egli non si proclama capo, soprattutto nello stato nascente egli è solo il primus inter pares. Col successo del movimento e trionfando sui suoi avversari a poco a poco viene riconosciuto da tutti e, poichè il movimento promette qualcosa di straordinario, egli stesso diventa straordinario: un capo carismatico. Sul capo carismatico vengono proiettate tutte le qualità e tutte le virtù il “culto della personalità“ avviene spontaneamente, sono i seguaci stessi che innalzano il loro capo e lo adorano.

Il carisma però, ce lo ricorda Max Weber, è precario, si rafforza solo attraverso il successo, con la sconfitta può svanire. E svanisce spontaneamente anche col passare del tempo perchè nessun capo è in condizione di realizzare i sogni dorati dello stato nascente. Compaiono critiche, invidie, concorrenti. Per questo il capo carismatico, quando ha raggiunto i potere politico è portato a stabilizzarlo dichiarando che gli obbiettivi verranno realizzati e nel frattempo liberandosi di tutti gli avversari reali e potenziali. A volte lo fa in modo pacifico, altre volte in modo sanguinario come hanno fatto Stalin con Trotzkj, Hitler con Rohm. Nasce così l’istituzione di dominio.Il capo si dichiara infallibile. Gli italiani scrivevano sui muri delle loro case : “ Mussolini ha sempre ragione “. A partire da quel momento tutto il male sarà colpa di qualcun altro, del nemico esterno ed interno, delle sue oscure trame. Usando questo infernale meccanismo i capi della rivoluzione francese si sono sterminati l’uno dopo l’altro, lo stesso hanno fatto i capi della rivoluzione sovietica e quelli della rivoluzione cinese fino alla uccisione del membri della “banda dei Quattro“.

La divinizzazione del capo carismatico ha sempre, come corrispettivo, l’elaborazione paranoica di un nemico totale. Non è possibile un’idealizzazione istituzionale senza una demonizzazione istituzionale. Il capo divinizzato ha, come antagonista, un demo­ne. Stalin poteva nascondere tutti i suoi atroci misfatti, i bagni di sangue compiuti sul suo popolo e sui suoi compagni perché guidava la grande battaglia contro il demone capitalista. Hitler giustificava i suoi crimini accusando gli ebrei di ogni male. Khomeini e Bin Laden guidano la Guerra santa islamica contro il Grande Satana occidentale. Il modo in il capo consolida il suo potere assoluto è l’asservimento morale. Con l’asservimento morale egli spezza irreparabilmente la liberta e la capacità critica dei membri del movimento. E come la ottiene? Chiedendo a ogni individuo di sacrificare proprio ciò che per lui è essenziale, di compiere un atto mostruoso, come denunciare o uccidere la moglie, un amico, il padre, il figlio. Facendo questo egli perde ogni capacità di giudizio morale. Le cose non cambiano quando al posto di un unico capo carismatico c’è un gruppo una assemblea, un comitato di salute pubblica che impone la fraternità col terrore come nella rivoluzione francese.

È l’asservimento morale che porta alla formazione del fanatico. Il fanatico non è semplicemente uno che crede fortemente. E un individuo che è stato asservito moralmente. Un individuo che ha accettato di compiere azioni in totale contrasto con i suoi convincimenti. I suoi amori, contro la verità. Il fanatico è uno che ha tradito, nella sua essenza, l’esperienza di liberazione, di fratellanza e di verità dello stato nascente. Per questo ha perso la sua anima. Può solo ubbidire e uccidere.

Le istituzioni di convivenza

Nelle fasi iniziale dei movimento gli individui sanno con chiarezza di essere portatori di diritti umani fondamentali e inalienabili. Lo sapevano i primi cristiani, i patarini e i monaci di Cluny che, nell’XI secolo, hanno attuato la grande riforma della Chiesa Cattolica, lo sapevano i protestanti che lottavano per la libertà religiosa, lo sapevano i Levellers, i rivoluzionari americani quando hanno steso la loro proclamazione di indipendenza e così via fino ad arrivare alla notte del tre agosto del 1989 a Parigi quando, in un clima di entusiasmo e di commozione viene votata, all’unanimità, la fine degli ordinamenti feudali. E questa atmosfera febbrile ed esaltante continua fino alla notte del 26 agosto quando viene votata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Anche questa all’unanimità.

Eppure pochi anni dopo la proclamazione dei diritti dell’uomo in Francia c’era il terrore e non uno solo di questi diritti veniva rispettato. Eliminato un sovrano dispotico il movimento stesso e aveva eretto un sovrano collettivo – la Convenzione rivoluzionaria – ancora più dispotico e sanguinario. Perchè? Perchè, subito dopo essersi dati una costituzione i francesi, sotto la spinta delle folle rivoluzionarie, del pericolo esterno e di una leadership radicale l’hanno abbandonata ed è prevalso il modo di pensare di J.J.Rousseau col suo mito della volontà generale. Una cosa che non faranno i rivoluzionari americani cresciuti alla scuola di Locke.

La costituzione ci ha spiegato Locke, è costituita da due parti, da due patti. Il primo è il pactum civitatis in cui stabiliscono i diritti, il secondo il pactum subiectionis. Ma questo patto avviene a condizione che il sovrano riconosca i diritti fondamentali e inviolabili che i consociati hanno già definito nel pactum civitatis. L’essenza della costituzione, perciò, non sta solo nella dichiarazione entusiastica dei diritti, e tantomeno nella nascita di una mistica volontà generale, ma nella identificazione di un preciso sovrano che non possa violare i patti. E i diritti non sono proclamati solo contro il precedente sovrano, ma anche contro lo stesso movimento rivoluzionario che tende esso stesso a diventare un sovrano collettivo dispotico.

Per evitare che nella situazione rivoluzionaria, nasca un nuovo più terribile dispotismo, bisogna che i rivoluzionari per prima cosa pongano dei limiti alla propria spontanea pressione verso l’unanimità che tende a generare una assemblea o un capo carismatico onnipotente che viola i diritti appena proclamati. Questa è l’essenza delle istituzioni di convivenza. Se il movimento non si auto impone un tale limite, genererà inevitabilmente un nuovo dispotismo. La rivoluzione francese è fallita proprio in questo. È fallita nel compito di stabilire concretamente, l’obbligo per il nuovo sovrano (l’assemblea rivoluzionaria, la convenzione, il comitato di salute pubblica) di rispettare i diritti fondamentali ed inviolabili enunciati entusiasticamente il 26 agosto e scritti nella costituzione. E lo stesso è accaduto nelle rivoluzioni marxiste che, sul piano filosofico, condividono lo stesso modo di pensare.

La strada che allontana dalla democrazia

Abbiano dato una grande importanza al pensiero di J.J. Rousseau come causa dell’incapacità della rivoluzione francese di generare istituzioni democratiche. Per capirlo partiamo da come Rousseau definisce il contratto sociale: «quella formazione per la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso e resti libero come prima». Ma l’unica formazione sociale i cui membri hanno questa esperienza è gruppo allo stato nascente. Molti hanno pensato che questa definizione del contratto sociale di Rousseau fosse un’idea astratta. Non è vero, è una esperienza concreta, che però esiste solo nella fase iniziale dei movimenti, poi scompare. È una esperienza di breve durata, non una istituzione. L’errore di Rousseau è di farne l’istituzione cardine dello Stato. Nella sua fantasia col “contratto sociale” lo stato nascente si perpetualizza e così ciascuno, fondendosi con gli altri, resta libero come prima. Nelle istituzioni invece non si dà mai il caso in cui qualcuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a se stesso (vedi in F. Alberoni Genesi, già cit. il paragrafo Il mito della Volontà Generale pp. 250 e segg., il saggio su Rousseau di Rosa Alberoni, Gli esploratori del tempo, Milano, Rizzoli 1994 e ne La cacciata di Cristo. Milano,Rizzoli 2006).

Rousseau descrive l’esperienza di libertà, uguaglianza, fratellanza, unanimità verità, giustizia che gli uomini hanno nello stato nascente senza sapere che è lo stato nascente e anzi immaginando che essa possa diventare permanente, farsi istituzione. Ma come? Allora prende dagli autori anglosassoni l’idea di contratto e lo applica ad una realtà totalmente diversa. Il risultato è un mostro giuridico sociologico in cui degli uomini si riuniscono e fanno un “contratto sociale” in cui sorge di colpo un affratellamento mistico ed una Volontà Generale infallibile ed onnipotente. Nel contratto sociale – egli precisa – l’uomo aliena tutto se stesso nella Volontà Generale e non può più tornare indietro, non può più dissentire , se lo fa deve essere ucciso. In questo modo il gruppo diventa un sistema totalitario e al suo interno può imporre tutto ciò che vuole. È la fraternità – terrore di Sartre (J.P.Sartre, Critica della ragione dialettica, trad ital, Milano Il Saggiatore, 1976)

Con questa teoria Rousseau può essere considerato il padre tanto del terrore rivoluzionario come del totalitarismo moderno. Dopo i giacobini, infatti lo seguiranno prima gli anarchici, poi Marx e tutti i marxisti. Il punto di partenza è sempre pensare che possa esistere una istituzione che realizza tutte le esperienze, i sogni, le speranze dello stato nascente, che ne sia l’ipostatizzazione e la perpetualizzazione. Mentre è solo ed esclusivamente nello stato nascente che esiste l’esperienza della coincidenza della volontà individuale autentica e della volontà generale e questa esperienza svanisce con esso. Tutte le dottrine politiche, siano esse liberali, anarchiche, marxiste o islamiste, che promettono istituzioni capaci di conservare la coincidenza fra volontà individuale e volontà generale (profana o divina) producono totalitarismi.

La strada che conduce alla democrazia

All’estremo opposto del pensiero francese che ha il suo padre in Rousseau che vede emergere la costituzione dal contratto sociale creatore di una Volontà Generale senza limiti, la scuola inglese fa nascere lo Stato e la Costituzione solo dal freddo calcolo razionale. Incomincia Hobbes che vive in epoca rivoluzionaria e ne ha orrore. Egli la descrive come «stato di natura» in cui ogni uomo agisce per sé, esclusivamente per sé, chiuso nel suo egoismo. Ciascuno tende spontaneamente a depredare gli altri, ad asservirli. Ne risulta una lotta di tutti contro tutti. Da questa ostilità generalizzata, da questa vita insicura e angosciosa gli uomini escono con la ragione. Ciò che unisce gli uomini non è l’entusiasmo, la fede, il movimento, al contrario è la riflessione, il calcolo della propria convenienza. Essendo intelligenti, capiscono che possono cedere il loro potere a qualcuno in cambio della vita e della sicurezza. Avendo ceduto il loro potere in questo modo al Sovrano, sarà lui che li costringerà a vivere insieme in una armonia predisposta dalla legge.

Locke non ha una immagine così cupa della situazione perché, ormai, la fase rivoluzionaria in Inghilterra era definitivamente conclusa e senza strascichi di tipo dispotico. Il malessere sociale era piuttosto dovuto all’incertezza, all’insicurezza. I cittadini ne avevano abbastanza di re autoritari e di capi carismatici tirannici alla Oliver Cromwell. Volevano leggi, giudici imparziali, un parlamento libero, diritti rispettati. I governanti, per Locke, sono amministratori al servizio della comunità e il loro compito è assicurare la prosperità e il benessere dei cittadini. Il sovrano non può mai e poi mai andare contro i diritti naturali inalienabili dei suoi sudditi. Se il sovrano attenta alla proprietà e alla libertà, i cittadini hanno il diritto di insorgere. Con questo edificio di esemplare chiarezza e semplicità Locke ha fornito il modello dello Stato costituzionale moderno. Egli è veramente il padre della democrazia.

È così che nasce la democrazia moderna: proclamazione dei diritti e limiti al sovrano chiunque esso sia. E fra i diritti il primo che deve esser rispettato è la libertà dei politici. La rivoluzione francese come poi quella sovietica, e cinese ha distrutto la democrazia perchè ha considerato il dissenso come tradimento ed ha annientato l’opposizione con mezzi giudiziari. La costituzione deve affermare nel modo più chiaro la inviolabilità degli eletti (Elias Canetti. Masse e potere tad. Ital. Milano Adelphi, 1974) e garantire loro, dopo la sconfitta, di poter riprendere la competizione. Senza queste tre garanzie elementari non può esserci democrazia. Ebbene, sono proprio le dottrine politiche che sottolineano maggiormente il momento fondante collettivo, assembleare, consiliare ugualitario che le negano e che perciò, nonostante le promesse, producono istituzioni politiche totalitarie.

Movimenti e Istituzioni

Seguendo il pensiero del filosofo tedesco Spengler, possiamo dire che una civiltà è caratterizzata da un modo di pensare, di sentire, da una propria arte, letteratura, matematica, filosofia, architettura, strettamente interconnesse. Sono l’ espressione di una stessa modalità di essere nel mondo.

Una civiltà, per Spengler, non è il prodotto di un movimento. Se pensiamo alla civiltà indiana, cinese, greca, egiziana, romana dobbiamo dire che ha ragione. Queste civiltà non sono sorte da movimenti. Anzi esse tendono semmai ad escludere, ad impedire il formarsi di movimenti. Hanno modi di pensare, di sentire, hanno concezioni del mondo e della spazio, che ne ostacolano la formazione o l’elaborazione.

Per esempio, la civiltà greca non ha una concezione positiva del divenire. Semmai la storia procede degenerando: infatti prima c’è l’età dell’oro, poi quella del bronzo e infine quella del ferro. La perfezione, l’apogeo dell’uomo, è collocata all’inizio. Alla scaturigine. È data dagli Dei non è un prodotto dell’uomo.

Secondo Spengler il greco ignora addirittura il tempo storico. Non ha passato e non attende un futuro. È perciò molto difficile che un movimento si strutturi nel tempo. Può farlo solo aspettando una nuova età dell’oro, un ritorno nel tempo ciclico. Tuttavia non riesce ad immaginare qualcosa che sia superiore alle origini.

Perciò, quando appare uno stato nascente, come quello dionisiaco, la sua elaborazione avviene entro questa cornice obbligata, e il risultato non sarà l’attesa di un nuovo mondo.

Il greco al massimo crede all’ edificazione razionale di una società migliore, come quella proposta da Platone nella sua opera La Repubblica.
Nella civiltà indù manca addirittura l’idea stessa di tempo storico. Non può quindi esserci storicizzazione. L’esperienza straordinaria viene proiettata in un passato assolutamente indeterminato. E il passato può essere avvenuto ieri o un milione di anni fa. Mentre la soluzione dell’esistenza, la salvezza, la beatitudine può essere ottenuta subito.

Il nirvana, a cui aspirano, non é uno stato individuale o collettivo raggiungibile nel futuro. Esso o non è, o è oggi, immediatamente. Lo si raggiunge per illuminazione. E non può essere collettivo, non può essere una trasformazione profonda della società. È per definizione individuale, personale, senza effetti sociali. È indicibile.

Non può quindi generare alcun progetto. Se in India sono sorti processi di stato nascente e movimenti – come pare di capire dall’esistenza di tanti culti di salvezza – ogni volta l’esperienza è stata elaborata come rivelazione, illuminazione, che si esaurisce in se stessa. Che si completa e contempla in se stessa.

Certo, anche i seguaci di Mahavira o di Budda si riuniscono, costituiscono una comunità, un cenobio. Poiché pensano nello stesso modo si identificano fra di loro. Si riconoscono e progettano un modo di vita adeguato al perseguimento del loro fine. Ma non sentono la missione di trasformare il mondo, di migliorarlo, di edificarlo. E anche se provano questa esperienza , la svalutano, la dimenticano per sottolineare il carattere personale dell’esperienza di illuminazione.

Il movimento come noi lo conosciamo, che inizia con lo stato nascente e sbocca in una istituzione, che ne è l’erede e la custode, è perciò un prodotto storico.

È il frutto della specifica elaborazione iniziata nel mondo antico con la religione mazdaica, ebraica, caldea. E continuata, poi, nel Cristianesimo e nella gnosi. È il frutto di religioni di tipo monoteistico, con componenti più o meno forti di dualismo, fra bene e male, luce e tenebre, Dio e Satana. Il tempo di queste religioni ha una direzione metafisica ed etica.

In tutte c’é uno stato originario di perfezione. Nella religione mazdaica lo stato che precede la scissione del bene e del male, nell’ Ebraismo e nel Cristianesimo corrisponde al Paradiso Terrestre. Segue una caduta, una degradazione che genera il mondo attuale.

Nelle religioni iraniche la caduta è data dalla mescolanza della luce con le tenebre, nel Giudaismo e Cristianesimo dal peccato di Adamo. Nel futuro però avverrà la redenzione: la battaglia finale, il giudizio universale, in cui il male sarà vinto, i corpi risorgeranno. È l’avvento della nuova Gerusalemme. La Gerusalemme celeste.

Questo schema – diffuso in tutte le religioni sorte nel medio oriente, nel primo millennio avanti Cristo – nasce dalla percezione dell’imperfezione morale del mondo e dall’attesa della sua redenzione escatologica. E stato questo schema, diffusosi progressivamente fino all’estrema propaggine asiatica dell’Islam e all’estrema propaggine occidentale del Cristianesimo, a fornire la cornice concettuale di base, le categorie strutturanti che daranno allo stato nascente la forma che noi conosciamo. E produrranno il movimento tipico dell’occidente.

Allora viene spontaneo chiedersi: in Grecia non c’è mai stata l’esperienza dello stato nascente? Non ci sono mai stati dei movimenti?

Io ritengo che lo stato nascente sia una esperienza universale, una proprietà del sistema nervoso umano. Quindi sono esistiti anche in Grecia. La scoperta, l’eureka di Archimede è uno stato nascente. E anche in Gracia lo stato nascente collettivo ha prodotto delle comunità.

Le scoperte di Pitagora hanno generato una comunità politica. Nel mondo greco sono esistiti anche movimenti come quello di Dionisio, come quelli che hanno generato i misteri.

Ma la maggioranza delle formazioni politiche e religiose non sono nate da uno stato nascente. Non é nata in questo modo Roma. Roma è nata da un patto, da una decisione razionale. Chi aderiva ed obbediva alle leggi romane, diventava romano. Il solco tracciato da Romolo è il simbolo dell’inviolabilità del patto. Le comunità di credenti hanno incominciato a formarsi sotto l’influenza delle religioni orientali. Lo stesso culto di Dioniso ha questa origine. Una influenza orientale sta probabilmente dietro l’Eneide di Virgilio. La distruzione di Troia è una perdita, una caduta. La storia è costruita dalla faticosa ascesa dell’eroe, Enea, che prepara un futuro glorioso : l’impero universale di Roma.

L’ accadimento non è collocato in un tempo apocalittico, ma in un tempo che lo scrittore conosce già. Però la tensione è simile a quella delle religioni di salvezza. È per questo motivo che, nel medioevo, Virgilio è stato considerato un anticipatore del Cristianesimo.
La società che pone al suo centro i movimenti e si alimenta da essi, nasce dall’incontro fra questa concezione religiosa del tempo con la soggettività, l’individualità sorta in Grecia con Socrate, e la progettualità razionale romana. L’occidente sorge da questa triade.

L’esperienza di un nuovo inizio, l’attesa di un rinnovamento, l’anticipazione di un futuro meraviglioso, a poco a poco si sposta sulla terra, plasma le istituzioni ecclesiali e politiche. S. Agostino invita i cristiani a prendere in eredità l’impero romano. Giustiniano ne sogna la rinascita governata da leggi imperiture. Gli ordini monastici si rinnovano periodicamente per realizzare un mondo più cristiano. I francescani ed i domenicani hanno progetti di evangelizzazione e moralizzazione della società. Dante attende un nuovo Cesare che restauri l’ordine e la giustizia. Calvino vuol instaurare la Repubblica dei Santi.

Questo insieme di movimenti e di istituzioni, che costituiscono un insieme storico coerente, edifica la civilizzazione culturale cristiana. Un complesso istituzionale, nato da movimenti, che dà il proprio linguaggio ai movimenti, che sorgono per sfidarlo. In realtà, inglobandoli, si arricchisce a cresce con il loro apporto. Le principali civilizzazioni culturali sono l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, il protestantesimo, il marxismo
Tutte , in definitiva , sgorgano dalla stessa fonte. Dalla religione mazdaica e dall’ Ebraismo. Poi il Cristianesimo emerge come una eresia dall’Ebraismo, e l’Islam come uno sviluppo profetico di entrambe. Il protestantesimo sorge dalla scissione del Cristianesimo in cattolici e protestanti. Il protestantesimo si presenta come una riscoperta della verità cristiana originaria. E il marxismo, nonostante il suo ateismo, annuncia che dalla lotta fra bene e male, fra borghesia e proletariato, emergerà uno stato paradisiaco: il comunismo finale. E non dimentichiamo, inoltre, che Marx era ebreo.

È però sbagliato pensare che tanto lo stato nascente quanto i movimenti siano una manifestazione ideologica occidentale. Ce lo testimoniano i movimenti sorti al di fuori delle civilizzazioni culturali. Per esempio la religione di Amenofi III, la rivolta di Vercingetorige e della regina Boadicea. E molte sette di salvezza indiane, anche se riassorbite nell’induismo o nel buddismo. I culti del cargo, la danza degli spiriti e le guerre indiane, il movimento di liberazione Ming e, in Messico, la profezia del ritorno di Tezcatlipoca.

Lo stato nascente infatti è una proprietà universale della mente umana, come ci dimostra anche l’universalità dell’innamoramento.
Ma solo in occidente esso è diventato una forza capace di costruire comunità permanenti, di modellare le grandi istituzioni fino alla formazione delle civilizzazioni culturali.